Per obesità si intende una condizione clinica caratterizzata da un BMI ≥ 30 (BMI, Body Mass Index o Indice di Massa corporea). Il BMI viene calcolato dal rapporto del peso sull’altezza al quadrato. Per sovrappeso, invece, si intende una condizione caratterizzata da un BMI compreso tra 25 e 30, ed è un primo campanello di allarme che indica che qualcosa, nello stile di vita e nell’alimentazione non sta funzionando. Ad ogni modo il BMI non correla sempre con la massa grassa del soggetto, in quanto ci possono essere soggetti che risultano sovrappeso o obesi dal semplice calcolo del BMI, ma hanno una massa grassa nella norma (intorno al 15% di massa grassa nell’uomo e intorno al 25% nella donna), cosa che si verifica specialmente negli atleti di forza e potenza e in chi svolge attività lavorative particolarmente pesanti. Per cui sarebbe più opportuno parlare di eccesso di massa grassa per identificare un quadro, sicuramente con implicazioni estetiche, ma che rappresenta un serio fattore di rischio per la salute.
La massa grassa, o grasso, o tessuto adiposo, è in grado di produrre mediatori dell’infiammazione, come la citochina infiammatoria interleuchina 6 (IL-6) e il Fattore di Necrosi Tumorale (TNF-α o Tumor Necrosis Factor alpha), ormoni come la leptina, adiponectina e resistina. Per cui un eccesso di tessuto adiposo si associa a un’infiammazione di basso grado e una migrazione della componente monocito-macrofagica nel tessuto adiposo. Per cui, si capisce che il tessuto adiposo va ben oltre la funzione di stoccaggio energetico, ma risulta essere un vero e proprio organo; ecco perché oggi si preferisce parlare di organo adiposo piuttosto che adipe o tessuto adiposo.
I fattori che portano ad un aumento della massa grassa sono molteplici, fra cui uno stile di vita sedentario, un’alimentazione scorretta, fattori endocrinologici, fattori genetici, cultura, ecc.
Per quanto riguarda i fattori genetici vanno citati il gene della leptina e il gene FTO. In studi su topi modificati (topi KO per il gene OB), si è potuto osservare un forte incremento di massa grassa e severe turbe endocrine; condizioni che miglioravano con l’introduzione della leptina nel circolo sanguigno di questi animali sottoposti a studio. Da tenere presente che, sempre per cause genetiche, anche il recettore della leptina può essere mutato, creando una situazione di resistenza alla leptina e quindi obesità. Per fortuna i casi di mutazioni del gene della leptina e del suo recettore sono rari nell’uomo. Quella che viene osservata più comunemente è un polimorfismo del gene FTO, che si associa a uno stato di sovrappeso o di obesità e una maggiore difficoltà al rientro nel peso ottimale. Di fattori genetici ne potremmo citare molti altri e a questi si potrebbe aggiungere molteplici fattori endocrini.
Ma quindi, cosa porta all’obesità? A questa domanda si potrebbe erroneamente rispondere a un introito energetico eccessivo rispetto alle spese energetiche ridotte. Se la cosa sarebbe così semplice, basterebbe semplicemente ridurre l’introito energetico e aumentare il dispendio e il gioco sarebbe fatto. Tuttavia, come hanno provato in molti, una riduzione del semplice introito energetico, magari associato ad un incremento del dispendio energetico porta rapidamente a un plateau ed un forte incremento dello stimolo della fame. Questo perché? Perché siamo stati programmati per sopravvivere in lunghi periodi di carestia e alla base ci sono sofisticati meccanismi di controllo. Il controllo centrale della fame, della sazietà e del dispendio energetico avviene a livello ipotalamico ad opera dei centri della fame (ipotalamo laterale) e dei centri della sazietà (ipotalamo ventromediale) e la risposta avviene in base ai segnali provenienti dalla periferia, come l’organo adiposo e lo stomaco. Ad esempio, l’incremento dei livelli di leptina, prodotta dall’organo adiposo quando le scorte energetiche sono abbondanti, si associa a una maggiore stimolazione dei centri della sazietà e a una maggiore spesa energetica; mentre quando lo stomaco è vuoto si ha una maggiore produzione di grelina, con la stimolazione dei centri della fame, così come un rilascio di colecistochinina dopo un pasto abbondante sopprime il senso della fame nel breve termine agendo sui centri della sazietà.
Alla luce di quanto detto, si capisce perché agire semplicemente sul bilancio energetico non risulta sufficiente, specie nel lungo termine.
Le strategie che vengono impiegate per combattere l’obesità sono molteplici e, sicuramente, un’alimentazione corretta e ben strutturata e una regolare attività fisica quotidiana, risultano fondamentali. Per quanto riguarda la dieta, questa deve essere personalizzata sulla base dell’individuo, in quanto una dieta che funziona per uno, non è detto che funzioni per l’altro e, addirittura, potrebbe risultare persino dannosa. La dieta poi va continuamente modificata in base allo stato fisiopatologico in cui la persona si trova in quel momento e i risultati raggiunti. Ad ogni modo, le linee guida che andrebbero rispettate dal punto di vista dietetico sono la preferenza per la verdura e la frutta, con 5 – 7 porzioni al giorno, ai cibi raffinati preferire i cereali integrali e i legumi e limitare l’assunzione di grassi saturi, di colesterolo, di carni rosse, trasformate e lavorate. Ottime fonti proteiche risultano essere il pesce e la carne bianca e i legumi. La cosa importante, poi, è pianificare la perdita di peso in tempi ragionevoli, in quanto è impossibile ottenere grosse perdite di peso in tempi molto ristretti e, soprattutto, mantenerli. Inoltre, una dieta drastica si associa a una perdita di acqua e non tanto di grasso.
Dalla letteratura, ormai è sempre più evidente che tutte le diete ipocaloriche sono efficaci nel breve termine, ma nel lungo termine i risultati maggiori si sono associati alla dieta mediterranea associata a un regolare programma di esercizio fisico. Per quanto riguarda l’esercizio fisico sono consigliabili almeno 150 minuti a settimana o almeno 30 minuti al giorno di attività moderata. Questo obiettivo comunque è da raggiungere con gradualità. Studi recenti, inoltre, associano un’attività fisica con sovraccarichi, come, ad esempio, l’esercizio in palestra, a una maggiore produzione di irisina, ormone responsabile nella brownizzazione del tessuto adiposo bianco e quindi a un maggiore dispendio energetico (il tessuto adiposo bruno presenta un maggior numero di mitocondri, responsabili della produzione di calore e dell’aumento della spesa energetica).
Alla luce di questo, andrebbe consigliato un regime nutrizionale sicuramente ipocalorico, basato su verdura e frutta, legumi, cereali non raffinati, carne bianca e pesce azzurro, in associazione a 3 sedute settimanali di attività aerobica moderata, assieme a 3 sedute settimanali di allenamento con i pesi.
Il sovrappeso e, soprattutto l’obesità, sono problemi complessi che si associano nel tempo a varie condizioni patologiche, il trattamento richiede un approccio integrato e la strutturazione dell’alimentazione e dell’esercizio fisico devono essere assolutamente personalizzati.
Dott. Daniele Gabrovec – BIOLOGO NUTRIZIONISTA
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